Non mi sento pittore, designer piuttosto

Vincenzo Mascia è un architetto, artista e designer. Ha studiato architettura alla Sapienza di Roma ed è stato allievo di Filiberto Menna. Dopo una prima fase concettuale, nel 1996 per tramite di Anna Canali, direttrice della Galleria Arte Struktura di Milano, aderisce al MADI fondato nel 1946 a Buenos Aires da Carmelo Arden Quin. Le sue opere sono presenti in collezioni private e istituzioni museali in tutto il mondo.

Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a iniziare il tuo percorso artistico?
Chi sono? Me lo chiedo spesso e mi chiedo spesso anche il senso di quello che faccio, e quasi sempre non trovo risposte. Sono un uomo profondamente ed orgogliosamente del sud, amo la luce mediterranea, il mare. Sono molisano di Santa Croce di Magliano, di estrazione proletaria si sarebbe detto una volta. Scuole superiori professionali, istituto tecnico per geometri, ovvio, mio padre era carpentiere edile, con una sopita vocazione per il bello e per l’arte.

Amante della musica pop, Lucio Battisti per gli autori italiani, Beatles per la musica straniera, apparentemente così distanti, ma così vicini nell’evoluzione di nuove sonorità, con visioni di sintesi, di riduzione al minimo degli accordi, degli strumenti, delle armonizzazioni.

La curiosità e la voglia di crescere, culturalmente ed anche socialmente, mi ha portato ad iscrivermi alla facoltà di architettura di Valle Giulia, la mitica, della rivoluzione sessantottina, nella Roma dei cupi anni di piombo, ma anche della gioia del movimento studentesco , della creatività al potere, degli indiani metropolitani.

Nel mio soggiorno romano sotto l’aspetto artistico due cose mi hanno profondamente colpito: la frequentazione del corso di istituzioni di storia dell’arte con Filiberto Menna, teorico della corrente analitica, ed una mostra che vidi in una galleria privata di Piazza Fontanella Borghese di Piero Manzoni. Mi chiesi ma Piero Manzoni è un genio o è qui con le sue opere a prendere in giro il prossimo. Stavolta non c’erano scorciatoie o semplificazioni, per capire Manzoni occorreva studiare il concettuale post duchampiano e la pittura analitica. Manzoni rifletteva sull’arte come linguaggio autonomo e, provocatoriamente, come i Sex Pistols in musica, dimostrava che si poteva fare grande arte o grande musica anche senza conoscere a fondo le tecniche, che conta di più il contenuto del contenitore, il significato del significante.

Capii che con quattro accordi si può scrivere grande musica e decisi che avrei provato a fare l’artista.

Struttura, Vincenzo Mascia, 2020

Parlaci della tua evoluzione artistica.
Nel 1977 mi iscrivo alla facoltà di architettura di valle Giulia a Roma, dove insegnano Storia dell’arte e dell’architettura personalità come Leonardo Benevolo, Bruno Zevi, Carmine Benincasa, Achille Bonito Oliva, Filiberto Menna, oltre all’area più spiccatamente progettuale con presenze del calibro di Quaroni, Fiorentino, Dardi, Sacripanti, Perugini, Purini.

Nel 1978 sostengo con Filiberto Menna l’esame di Istituzioni di storia dell’arte. Testo fondamentale di preparazione all’esame il libro di Filiberto Menna La linea analitica dell’arte moderna. Per me, fermo alla metafisica e a De Chirico, fu lo spalancarsi di un mondo nuovo, di un modo affascinante e alternativo di fare arte, che non fosse legato necessariamente alla manualità, ma che privilegiava l’approccio mentale, concettuale dell’opera d’arte.

Capii che poteva esserci anche per me una opportunità di fare arte. Mi lascio così affascinare dalle speculazioni linguistico concettuali di Duchamp, Magritte, Kosuth, Boetti, De Dominicis e realizzo una serie di lavori, che conservo, ispirati a questa visione dell’arte, esposti in rarissime occasioni, come la mia prima mostra ideata e realizzata a Santa Croce, nel 1981.

Proseguo la mia solitaria ricerca tra concettuale e geometrico e nel 1992 mi reco a Milano dalla cara e compianta Anna Canali, direttrice di Arte Struktura, all’epoca forse l’unica galleria d’Europa che in pieno clima post moderno di recupero della pittura e del tradizionale modo di fare arte, continua con testarda passione a trattare esclusivamente arte cinetica, programmata, concreta e madi.

Anna Canali mi inserisce all’interno delle rassegne che lei andava costruendo come “l’arte costruisce l’Europa” o “100×100 per arte struktura”. Di questa fase sono i lavori nei quali incido superfici di cartone per ricavarne strutture estroflesse e vuoti oltre la superficie, di ispirazione spiccatamente spazialista. E’ una ricerca che in fondo non ho mai abbandonato e che ogni tanto riprendo quando mi viene alla mente qualche nuova intuizione. Ad arte struktura conosco il madi ed i suoi artisti Salvador Presta, Reale Frangi, Gaetano Pinna, Giancarlo Caporicci e gli altri. Dalla conoscenza e ispirati al madi nascono i lavori ottenuti scomponendo figure geometriche elementari, riassemblate successivamente per accostamento o sovrapposizione.

La mia ricerca prosegue con la frammentazione della linea in segmenti di varie lunghezze e colore disposte su una griglia di incisioni lineari su un fondo monocromatico, di lettura quasi musicale. Parallelamente realizzo strutture monocromatiche nelle quali elementi a rilievo ad andamento lineare o ondivago, creano vibrazioni di luce ed ombra.

La mia ricerca attuale privilegia il concetto del caos. Realizzo così installazioni tridimensionali ottenute assemblando in maniera casuale listelli di legno o metallo colorato o in alternativa usando strisce in pvc bianco di varia dimensione su un fondo colorato. Non ultime le mie giovanili incursioni nell’area del design, o meglio dell’anti-design, con riferimenti al gruppo Memphis fondato da Ettore Sottsass, ed ad Alchimia ispirato da Alessandro Mendini.

Struttura Caotica, Vincenzo Mascia, 2015

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?
Ho inseguito un sogno per tutta la mia vita, quello di essere un artista.

Il novecento è stato il grande secolo delle avanguardie, che hanno azzerato i linguaggi tradizionali dell’arte, per far diventare l’arte un linguaggio con una sua autonomia, liberata dai vincoli del disegno e della rappresentazione della realtà. Il dadaismo duchampiano è stata la frattura che ha prodotto gran parte dell’arte contemporanea, mentre Fontana fendeva la superficie per trovare al di là da essa spazio fisico e concettuale. Il madi di Arden Quinn liberava le forme dalle costrizioni della cornice. In questo lungo racconto, che è l’arte contemporanea, ho sempre cercato un varco, una pagina ancora da scrivere, una sintesi tra le varie esperienze.

Il bauhaus di Gropius e Mies van der Rohe mi ha insegnato il perseguimento della sintesi di tutte le arti, architettura, pittura, design. Bisogna scavare tanto carbone per trovare una piccola scheggia di diamante (se la trovi), mi ha detto una volta Achille Pace, esponente del gruppo UNO, fondato a Roma negli anni sessanta. Io la mia sintesi credo di averla trovata tra il costruttivismo, il madi e lo spazialismo. Seguendo la grande lezione della tela estroflessa tipica dell’area milanese che trova in Castellani e Bonalumi i suoi geniali rappresentanti, realizzo strutture tridimensionali, perlopiù monocromatiche, che occupano lo spazio e dialogano con la luce, pervenendo ad un oggetto mai statico, che varia al variare delle condizioni di luce.

Nella mia ricerca attuale prediligo creare opere formate dall’accostamento di lamine a sviluppo ondivago che creano sottili vibrazioni di luce e di colore. Mi fermo quando non ho più nulla da togliere, convinto che l’essenza delle cose, e della vita, si trovi nella semplicità.

Elogio del blu, Vincenzo Mascia, 2021

Le funzioni dell’Arte secondo te.
Viviamo oggi in una società frenetica, consumistica, globalizzata e iperconnessa, nella quale non c’è più tempo per la riflessione, per l’essere, conta solo la superficialità, l’apparire, con il mito della ricchezza e dell’eterna giovinezza, la riflessione sul senso della vita e della sua inesorabile fine è un tabù da rimuovere.

Ecco penso che la funzione dell’arte risieda proprio nel rifiuto di questi modelli costituiti ad arte per renderci fragili e condizionabili. L’arte è riflessione profonda sul senso di se stessi e della vita è l’espressione più alta della intelligenza e della sensibilità umana, è lo spostare lo sguardo oltre il visibile, è la ricerca dell’assoluto.

Una citazione o una frase che ripeteresti volentieri.
Mi piace riportare una mia riflessione del 1995 che spiega sinteticamente il senso del mio lavoro: Non mi sento pittore, designer piuttosto. I miei lavori li concepisco come prototipi di una produzione seriale. Un oggetto di design è tanto più vero quanto più esso entra nella nostra quotidianità senza stravolgerla. Nei miei lavori allo stesso modo ricerco la banalità. L’oggetto accompagna la nostra vita con la sua anonima, muta e rassicurante presenza.

Riusciresti a sintetizzare la tua arte attraverso una frase, o magari, attraverso una sola parola?
Essenziale.

Entropia, Vincenzo Mascia, 2022

Da che cosa o da chi trai maggiore ispirazione?
Molto spesso le cose nascono dal caso: l’osservazione di una forma, la scoperta di un nuovo materiale, le variabili durante la creazione dell’opera. A differenza di quanto sembra non progetto mai preventivamente i miei lavori, inseguo costantemente una idea, una intuizione e la sviluppo nel tempo e nella solitudine del mio piccolo laboratorio. L’arte si fa in silenzio e in solitaria.

Chi pensi che possa apprezzare e comprendere meglio la tua arte?
L’arte contemporanea si propone, con le avanguardie del ‘900, come nuovo e originale linguaggio e il linguaggio è l’insieme dei suoni e dei segni che lo contraddistinguono. Come tutti i linguaggi anche l’arte ha necessità di essere decodificato ma per fare questo bisogna capirne i meccanismi e studiarne le connessioni.

Non si può leggere una grande poesia scritta in cinese se non conosciamo il cinese e non si può comprendere l’arte contemporanea se non se ne conosce il linguaggio. Per cui, non solo la mia, ma tutta l’arte contemporanea è, purtroppo, riservata ad un pubblico che ne conosce la struttura e la sua evoluzione storica

Ti ha fatto piacere ricevere questa nostra intervista?
Ritengo che le interviste siano il mezzo migliore per conoscere le personalità degli uomini in generale e degli artisti in particolare. Io che sono portato alla sintesi, nel senso che mi piace arrivare in fretta e possibilmente con il minimo sforzo alla comprensione delle cose, trovo più informazioni in una intervista che in un intero trattato.